Nemici dell'armagnac
La tentazione di tradurre integralmente il capitolo V del libro di Paul Duffard è stata grande, tanta è la sintonia di pensiero fra le tesi sostenute da quest’autore e il sottoscritto.
Il testo, pur risalendo al 1902 (tratta quindi di fatti della fine del XIX secolo), mi pare di assoluta modernità.
Chiariamo subito che non ci si scaglia contro il cognac, il calvados, il marc di varie origini e ogni altro distillato; il discorso concerne semplicemente le truffe.
Segnalo la più scandalosa e al tempo stesso più documentata, senza atteggiamenti preconcetti e senza cadere nel giudizio, così negativamente tagliente, di Duffard a proposito del “mercato”.
Lo faccio perché sono passati 100 anni e il mercato é diventato una componente ineludibile della nostra società e sono convinto che senza questo tramite anche la parte sana di ogni transazione commerciale andrebbe in forte sofferenza.
Veniamo ai fatti che risalgono al 1895; per inciso ricordo che, a causa della fillossera e di tutte le altre pestilenze della vite, si era ancora in grave crisi produttiva.
I dati forniti dal Ministero dell’Agricoltura e da quello delle Imposte, relativi al consumo di vino sono questi: il primo dichiara che sono stati prodotti 23 milioni di ettolitri di vino, mentre il secondo ha incassato tasse per 42 milioni di ettolitri.
Che i francesi siano contribuenti onesti non v’è dubbio; che si impegnino addirittura a pagare tasse per quasi il doppio della produzione, lascia stupefatti.
Non è tutto: il consumo di vino è stimato intorno ai 55 milioni di ettolitri contro una produzione di 30, alla quale si devono aggiungere 5 milioni d’importazione. I 20 milioni di ettolitri mancanti, da dove arrivavano?
Ricordo che stiamo sempre parlando di vino, ma il vuoto documentale (sostanzialmente coincidono le differenze fra le testimonianze ministeriali e il consumo) di 20 milioni di ettolitri non mi pare uno scherzo.
Ancora più allarmante la banale riflessione che fosse in commercio armagnac che aveva origine dalla fonte che Duffard ironicamente definiva “Château la Pompe”.
Purtroppo non si trattava solo di acqua e zucchero, si riciclavano grappoli già spremuti e secchi e s’impiegavano coloranti vari, da quelli naturali a quelli chimici.
Per testimoniare l’apprensione dei produttori seri e al contempo la diffusione di queste pratiche, basta controllare le pagine promozionali di quel periodo.
Ad esempio nell’Annuario Amministrativo del Gers del 1905 si può leggere la pubblicità della Maison Saint-Arroman di Auch che riporta in bella evidenza: “La Maison ne fabrique pas avec des Essences Artificielles”.
Pur non volendo sospettare fatti criminali devo comunque segnalare che la definizione “alcool de betterave”, l’italica barbabietola da zucchero e la piemontese “biarava”, non era soltanto una polemica invenzione.
Pierre Louis Janneau, promotore del movimento a tutela dell’armagnac, ne fa cenno in un manifesto edito in occasione del centenario della sua Maison e il riferimento storico è quello delle grandi epidemie di fine 1800.
Chi fossero i responsabili di questa distorsione criminale non è dato sapere (Paul Duffard si rivolge genericamente ai negozianti di Parigi) e un italiano che ha vissuto in prima persona le nostre truffe sul vino, non si permette certo di pontificare al riguardo degli scandali avvenuti in Francia.
Si spiega così anche la presenza su etichette di quel periodo la scritta, solo apparentemente pletorica, di “Armagnac Authentique”. Aggiungo che non è difficile trovare anche la versione “Cognac Authentique”.
La mia percezione è che si sia trattato del momento storico più difficile per i distillati invecchiati in legno.
Quale suggerimento si sentiva di dare Paul Duffard al consumatore?
Conoscere meglio il prodotto, possibilmente anche il produttore e infine non fidarsi dei prezzi stracciati.
Notizie di truffe sull’acquavite compaiono già a partire dal XVI secolo e riguardavano soprattutto la quantità.
Erano così diffuse che a Bordeaux, in Olanda e in Belgio erano nati degli specialisti giurati che valutavano e garantivano la capienza delle botti; i barcaioli avevano l’abitudine di trattenere una sorta di decima per rifarsi delle spese di trasporto.
Fra i nemici merita il posto d’onore un luogotenente di artiglieria che nel 1709, a fronte della scarsità di acquavite, propose di produrla senza usare vino, grano, sidro o birra; in teoria resterebbero la canna da zucchero, la barbabietola e le patate o forse pensava ai topinambours citati nel Messager Agricole del 1867.
Collegate anche ai comportamenti truffaldini, saranno la comparsa della legge Caillaux (1900) che impedì l’aggiunta di armagnac ad alcool industriale e della legge Briand (1916) che, finalmente, proibirà del tutto l’impiego di questi distillati.
L'immagine allegata non ha alcun riferimento con il contesto trattato, ma è una semplice assonanza.