Il territorio


Come tutti i prodotti agricoli anche l’armagnac è fortemente connotato dalle peculiarità del territorio di origine.

Attualmente l’Armagnac geografico è situato approssimativamente nel cuore del triangolo aquitanico formato da Tolosa, Bordeaux e Bayonne. Ha una superficie di circa 6200 km2 e un’altitudine assai modesta: va dai 380 m di Monlaur-Bernet ai 90 m di Barcelonne-du-Gers sui bordi dell’Adour e ai 66 m di Condom nella valle della Baïse.

La zona di produzione appartiene a tre Dipartimenti: quasi tutto il Gers, una parte delle Landes e una parte del Lot-et-Garonne.

In totale si tratta di 15000 ettari impiantati a vigneto distribuiti in tre zone di produzione: 8000 nel Bas-Armagnac, 6500 nella Ténarèze e 500 nell’Haut-Armagnac.

L’Haut-Armagnac (a sud e a est) rappresenta la parte più estesa del territorio; il terreno è calcareo e argilloso-calcareo, in qualche caso ricoperto di ciottoli e limo e si presta alla coltivazione della vigna e a quella dei cereali. Le città più importanti Mirande, Auch e Lectoure sono attraversate dal fiume Gers.

La Ténarèze, al cui centro si trovano Condom e Vic-Fezensac, si colloca fra Haut e Bas-Armagnac.

Vede la presenza sia di terreno calcareo che argilloso, con qualche traccia di sabbie bruno-chiare; cominciano a comparire ampie estensioni di boschi di quercia.

Il Bas-Armagnac (a ovest) è un territorio con ridotti rilievi collinari, il terreno è argilloso-siliceo, spesso acido, sabbioso e con scarsa presenza calcarea.

I centri più importanti sono Aire-sur-Adour, Eauze, Nogaro.

Qui dominano le sabbie fauves (bruno-chiare originate dai residui di un’ostrica e colorate dagli ossidi di ferro, risalenti al Medio Miocene) che rendono soffice e di facile lavorazione il terreno; sulle alture dominano le foreste, mentre a mezza costa regna la vigna.

La parte del Bas-Armagnac delle Landes è spesso pianeggiante con grandi estensioni di pinete.

Diffusa in tutte le tre zone è la presenza di un terreno definito boulbène, formato da un miscuglio di argilla e silice, a granuli finissimi. Ѐ permeabile all’acqua con la quale forma una poltiglia lattiginosa e soprattutto è importante per la difesa del terreno perché forma una spessa crosta che protegge dalle gelate.

Per gli appassionati di armagnac che, viaggiando per quelle zone, sentissero i contadini parlare di terrebouc segnalo che si tratta pur sempre di terreno boulbène adatto all’impiantamento della vite; con caratteristiche che, variando nelle componenti silicee e calcaree, lo rendono abbastanza fresco e dotato di attività filtrante.

Come regola generale si consideri che la componente argillo-calcarea (terrefort) si trova più facilmente a mezza costa, mentre il terreno boulbène domina nelle vallate.

Altra variabile di terreno è il peyrusquet: in questo caso troviamo una fascia argillo-calcarea poco profonda che appoggia direttamente sulla roccia madre calcarea.

Ѐ la situazione tipica di buona parte del territorio di Lectoure.

Vigna e vinificazione


La presenza della vite allo stato selvatico (vitis labrusca) risalente alla preistoria è documentata dal ritrovamento in alcune torbiere ed è legittimo pensare che a quei giorni fosse utilizzata solo a scopo alimentare.

La più antica testimonianza in Guascogna di attività vitivinicola risale al I secolo dell’era moderna: si tratta di un’urna funeraria scoperta a Lectoure contenente sarmenti di vite.

Sono presenti anche testimonianze di vitis biturica e di vitis basilica (forse proveniente dall’Epiro).

La scoperta più recente (2000) riguarda la villa gallo-romana di Lestagnac, nei pressi di Saint-Mèzard; è stata riportata alla luce una cantina attiva dal I al V secolo D.C. completa delle attrezzature per vinificare e conservare il vino.

Compaiono in seguito documenti (il primo è del 1396) che fanno soprattutto riferimento alle tasse; particolarmente significative quelle imposte alla popolazione di Sainte-Christie-d’Arm.: su un totale di 94 proprietari ben 73 possedevano 127 vigne.

Nello stesso documento si trovano già precise indicazioni sul tipo di conduzione della vigna.

Si trattava di vigne inframmezzate da alberi da frutta e qualcuno ipotizza l’influenza romana su questo tipo di coltura; fu gradualmente abbandonata in Guascogna nella seconda metà del 1800.

La vigna è attualmente condotta a portamento alto per evitare che le gelate primaverili la danneggino e allo stesso tempo per tenere i pampini lontani il più possibile dall’umidità del terreno; è una scelta dettata anche dalla necessità di favorire la presenza di acidità nelle uve.

Il disciplinare che regola la produzione di uve adatte alla distillazione prevede la presenza minima di 3000 piedi per ettaro, con un rendimento massimo di 160 hl di vino e di 12 hl di acquavite per ettaro.

Fino all’avvento della meccanizzazione delle macchine agricole, i filari distavano 180/200 cm. (ora si avvicina ai tre metri) e le viti erano poste a dimora alla distanza di un metro (ora siamo intorno ai 160 cm.).

L’obiettivo dei contadini di un tempo era duplice: rendere il terreno più soffice ed eliminare le piante infestanti; erano necessari anche 10-12 passaggi di aratro nella stagione contro i 2-3 attuali.

La legge consente solo tre tipi di potatura: le due versioni della “Guyot” e la “cordon”.

Anche i lavori primaverili di rincalzatura sono stati abbandonati a favore del diserbo che spesso avviene a filari alterni. Poi si passa, nei mesi di maggio e giugno, alla spampanatura per ripulire il tronco da tutti i polloni in eccesso e al fissaggio delle fronde ai fili.

I trattamenti classici, come la ramatura, erano effettuati anche 17-18 volte se la stagione era notevolmente piovosa e ancora oggi, nonostante la presenza di stazioni di rilevamento sullo sviluppo dei parassiti, possono essere una decina

Le prime uve a maturare sono folle blanche e colombard, seguono baco e ugni blanc.

La vendemmia si effettua sia manualmente che in modo meccanico.

Il primo sistema consente di evitare al massimo i traumatismi dei grappoli mentre il secondo è effettuato normalmente di notte e di primo mattino e permette la raccolta di uve più fresche che portano maggiore limpidezza.

Il vino presenta comunque segni di torpidità perché non tutta la feccia é tolta, allo scopo di arricchirlo con gli aromi che essa contiene. Si elimina invece la parte più melmosa per evitare che il distillato presenti dei sentori erbacei sgradevoli.

Il tipo di vendemmia è quindi anche secondario alle dimensioni del vigneto, alla sua struttura, al tipo di vitigni presenti e alla disponibilità di personale stagionale o di amici e parenti.

Restano determinanti la pulizia della cantina, di tutte le attrezzature e una distillazione il più possibile ravvicinata alla vendemmia, per cui pigiatura, sgocciolatura e torchiatura devono essere svolti nel tempo più breve per evitare ogni contaminazione e ossidazione.

Le fermentazioni, malolattica e alcolica, intervengono nel tardo autunno e in inverno per opera dei lieviti che trasformano naturalmente la componente zuccherina in alcool; è soprattutto a carico della prima che si deve porre attenzione all’aumento di temperatura per eccesso di fermentazione.

Anche in questa fase non si aggiunge alcun prodotto chimico.


L'invecchiamento

Parlare d’invecchiamento comporta l’analisi di tre parametri fondamentali: tempo, contenitore e luogo di stivaggio.

Per quanto concerne il primo, utilizzo il testo del Signor Gilbert Sourbadère.

Si possono distinguere quattro fasi dell’invecchiamento:

1) “l’adolescenza”, fino ai 3 anni,

2) “l’età adulta”, da 3 a 10 anni,

3) “la forza degli anni”, da 10 a 40 anni,

4) “il momento del declino”, oltre i 40 anni.

Ovviamente si parla sempre di anni passati in legno.

Nel corso di questo periodo avvengono diversi mutamenti, tre dei quali rivestono particolare importanza:

1) l’ossidazione dell’armagnac,

2) l’evaporazione di una parte di acquavite (dal 2 al 4% l’anno secondo il tipo di cantina),

3) la riduzione del grado alcolico (dall’1 all’1,5 l’anno).

I due ultimi dati sono apparentemente contraddittori, ma bisogna considerare che si tratta di una miscela idroalcolica, per cui vi sono perdite differenti secondo la frazione coinvolta.

Il legno governa quindi gli scambi gassosi e trasmette al distillato quelle componenti che lentamente lo trasformeranno in qualcosa di totalmente diverso, lasciando quindi al proprietario la scelta di interrompere o protrarre l’invecchiamento.

Merita almeno un cenno il fenomeno dell’ossidazione.

Bisogna considerare che gli scambi fra il legno e l’acquavite decrescono gradualmente verso l’esterno della botte, parallelamente con la riduzione del gradiente alcolico; allo stesso tempo aumenta l’attività enzimatica, anch’essa sostenuta dal fungo Torula, con la produzione di perossidasi.

Si tratta di un sottile gioco di equilibrio che i sostenitori della cantina tradizionale reputano determinante per raggiungere la corretta estrazione delle proprietà del legno.

Ricordiamo inoltre che la lunga stagionatura naturale del legno ha già prodotto fenomeni di ossidazione e idrolisi tali da non trasmettere quelle componenti della lignina che sarebbero nocive alla qualità del distillato. A questo punto devo necessariamente ritornare al metodo di distillazione perché la gradazione ottenuta impone comportamenti diversi in sede d’invecchiamento.

Sappiamo che le gradazioni alcoliche ottenute variano secondo l’alambicco utilizzato e che alcuni produttori per ottenere armagnac dotati di certe caratteristiche impiegano l’alambicco a repasse.

Per chi fa questa scelta e, ad esempio, intende porre sul mercato un distillato giovane e poco “boisè”, cioè poco connotato dalle proprietà del legno, non esiste altra possibilità che eseguire una riduzione alcolica artificiale.

Si ottiene con l’aggiunta di acqua distillata (imposto dalla necessità di evitare la presenza del calcio che provocherebbe la precipitazione dell’armagnac) o delle “petites eaux”, ossia una miscela di acqua distillata e armagnac, con una gradazione di circa 20°; in alcuni casi l’operazione è effettuata contemporaneamente alla distillazione.

Esiste tutta una mitologia guascona su queste “piccole acque” e non vi è nulla di più defatigante e inutile che addentrarsi in questa polemica; i favorevoli a questa pratica sono altrettanto accaniti degli oppositori e, in ogni caso, non svelerebbero mai come sono strutturate queste miscele.

La ricerca ha comunque confermato questo dato: gli armagnac a più basso tenore alcolico invecchiano più rapidamente.

Ritengo che il comportamento debba essere ben diverso per l’armagnac destinato a un lungo invecchiamento; per un distillato che passa 15, 20 o più anni in botte si deve solo contare sulla naturale perdita di gradazione.

Qui, però, entriamo nel campo degli armagnac definiti “venerabili”.

La verifica della corretta attribuzione dell’età del distillato avviene impiegando un cromatografo in fase gassosa. Assolutamente attendibile quando si parla di un armagnac che non supera i 20 anni; poi, a giudizio pressoché unanime, l’attribuzione dell’età diventa più problematica.

Il clima


La longitudine della Guascogna (44° parallelo) è quella della mia cara Alessandria; tutto il resto cambia, se non altro per la diversità fra il Tanaro e l’Atlantico.

Il clima dell’Armagnac è un misto di clima delle Landes (dolce e umido) e di clima tolosano (secco con sbalzi di temperatura); questa condizione si propaga da ovest a est con situazioni intermedie nella Ténarèze. L’influenza dell’oceano si attenua gradualmente nell’allontanarsi dalle Landes verso est.

La temperatura tende a diminuire passando da nord a sud per l’avvicinarsi della catena pirenaica. Si può definire clima temperato, dolce e assai equilibrato nelle precipitazioni; l’influenza del clima atlantico è ben bilanciata da quella del mediterraneo, con deboli scarti di temperatura e le stagioni sono ben caratterizzate nelle loro specificità.

La primavera è lunga e umida con la possibile presenza di puntate di caldo rischiose per un troppo precoce inizio vegetativo.

L’estate è caratterizzata da caldo secco con la possibilità di temporali con grandinate scatenate da una forte depressione barometrica indotta dai venti caldi di provenienza mediterranea.

L’autunno è lungo, soleggiato e con clima assai dolce.

L’inverno è in genere corto e raramente portatore di neve.

La temperatura media varia dai 7 gradi in inverno ai 15 di primavera per arrivare ai 20 in estate.

La piovosità decresce da ovest a est: si passa dalla media di 1033 m/m delle Landes ai 687 del Gers, con aridità più diffusa nell’Haut-Armagnac. Restando nell’ambito delle precipitazioni, il centro di Agricolture et Météorologie del Gers conferma il dato empirico di una maggiore caduta di grandine al centro della Guascogna, con picchi rilevanti per i cantoni di Cazaubon, Montréal-du-Gers, Aignan e Nogaro.

Parlando della mia città natale devo necessariamente fare un confronto sulla presenza della nebbia; in Guascogna è in pratica inesistente. Di certo influiscono la ventilazione, la lontananza dei grandi fiumi e l’assenza di paludi e acquitrini.

Concludo con una segnalazione di attualità, verificata personalmente e da alcuni autori che hanno analizzato l’evoluzione climatica. Le giornate ventose sono aumentate numericamente e come intensità, con la conseguente crescita del gelo invernale e della canicola estiva; indubbiamente la costante riduzione del patrimonio forestale non aiuta a contenerne gli effetti.

I diffusi cambiamenti climatici trovano certamente spiegazione anche in problemi più generalizzati, in ogni caso scoprire che si mettono a dimora vigneti nel Belgio e in Inghilterra non ha nulla di rassicurante.

Non sarebbe comunque una colossale novità: fra l’XI e il XII secolo le vigne dimoravano in Cornovaglia e sulle sponde del Tamigi, ma la loro coltivazione scomparve verso la metà del XV secolo a causa di un ciclo climatico tendente al freddo.

Significativa la scelta della Regina Elisabetta, che nel 2015 ha battezzato il varo del Britannia con il brut prodotto dal Wiston Estate (Sussex).

I tempi della vendemmia alle latitudini classiche sono sempre più anticipati per evitare un sovraccarico zuccherino; per l’armagnac si potrebbe arrivare alla scelta di privilegiare i vitigni a maturazione più tardiva, come il baco e l’ugni blanc.

Armagnac senza folle blanche?

Non oso pensarlo.

La distillazione


Il momento decisivo per la storia della distillazione fu il XIII/XIV secolo, grazie alla relazione intercorsa fra la scuola medica salernitana e quella di Montpellier, entrambe arabe.

Nel 1305 compare il libro del monaco francescano Raimondo Lullo, il “Testamento dell’arte alchemica”, dove si possono trovare testimonianze dettagliate sulla struttura dell’alambicco.

Fino a quegli anni il distillato era utilizzato a scopo terapeutico. Bisogna attendere il 1348 quando, per la prima volta, troviamo la testimonianza di consumo extraterapeutico di acquavite della Guascogna.

Giovan Battista Porta nel 1609, parla della necessità di eseguire diversi passaggi di distillazione al fine di ottenere un prodotto più puro, rettificato, per giungere alla produzione del solo “cuore” dell’acquavite.

La pratica della distillazione a domicilio, tipica della Guascogna, è testimoniata per la prima volta nel 1724  e contribuirà a legare l’immagine dell’armagnac a quella di un prodotto contadino, sempre unico e diverso.

L’alambicco è costruito in rame martellato o laminato; la scelta del rame è legata alla sua ottima conducibilità termica, alla malleabilità, all’essere inattaccabile dagli acidi presenti nel vino e alla captazione dei cattivi odori fissando e saponificando gli acidi grassi indesiderati.

È alimentato a legna, come vorrebbe la tradizione, o a gas; per amor del vero devo segnalare che l’utilizzo del legno come combustibile ai giorni nostri non va oltre il 25% del totale.

Sono utilizzati due tipi di alambicco che producono acquavite di diversa gradazione.

La gradazione prescritta per l’uso dell’alambicco armagnacchese (definito dal B.N.I.A. "tipo principale") varia dai 52 ai 72,4 gradi alcolici, mentre per l’impiego dell’alambicco della Charente (definito "tipo accessorio") varia dai 65 ai 72,4 gradi: ovviamente a questo stadio si tratta di un distillato completamente incolore.

Non si devono superare i 72,4 gradi, pena l’inserimento del distillato fra le generiche acquaviti di vino.

Si tratta di strumenti assai diversi; l’alambicco armagnacchese ha maggior complessità costruttiva e utilizzo più semplice, mentre quello della Charente presenta una tecnica di distillazione più impegnativa.

La fortuna della distillazione “in continuo” nasce proprio dalla facilità d’impiego, dalla gran quantità di prodotto che si ottiene, dal risparmio energetico consentito (a parità di volume di distillato) e  dal numero di piccoli produttori di armagnac, interessati a ottenere ridotti volumi di acquavite a un costo accessibile.

La data della distillazione fregiarsi della denominazione armagnac è libera purché non vada oltre il 31 marzo dell’anno successivo alla vendemmia; in genere non passa molto tempo da quando si è ottenuto il vino.

Mi permetto un cenno concernente l’alambicco “à repasse” per far comprendere al lettore le diversità più evidenti con quello “in continuo”; utilizzo la terminologia francese per coerenza con l’argomento.

La prima tappa consiste nello scaldare il vino fino a ottenere una miscela di vino e alcool (brouilli) che titola fra 27 e 30 gradi; a questo livello si parla di primo riscaldamento (premiére chauffe).

Si passa poi a un secondo riscaldamento (bonne chauffe) che produce 3 sottoprodotti; colano in momenti diversi e sono separati: teste, cuore e code. Le prime e le terze sono eliminate oppure rimescolate al vino in attesa di una nuova distillazione; il cuore, limpido e chiaro, fornisce l’acquavite adatta all’invecchiamento.

Prendiamo ora in considerazione l’alambicco di tipo armagnacchese poiché è tuttora il più diffuso in zona (i dati relativi al 1997 ne segnalavano 138 contro 24) ed è il più aderente alla tradizione.

Per comprendere il principio di funzionamento bisogna seguire il circuito del vino, che arriva dall’alto a temperatura ambiente e scende in un recipiente cilindrico (chauffe-vin) al cui interno si trova una serpentina in cui circola acquavite sotto forma di vapore; il vino che passa dall’alto del chauffe-vin al recipiente successivo (colonne à plateaux) ha già una temperatura di circa 80 gradi.

La colonne à plateaux è composta di una serie di vasche sovrapposte (da 5 a 11) sulle quali gradualmente cola il vino preriscaldato; la temperatura a questo punto raggiunge i 100 gradi e l’alcool, l’acqua e gli altri elementi volatili del vino evaporano e risalgono la colonna attraverso dei gorgogliatori.

Ciò che resta del vino arriva alla caldaia (chaudière) posta sopra il focolare (foyer) che mantiene una temperatura di circa 105-110 gradi; qui evaporano le ultime tracce di alcool lasciando sul fondo le impurità e gli elementi non volatili da eliminare.

Parallelamente i vapori risalgono attraverso il vino e gorgogliando ne catturano i profumi più sottili, escono finalmente dalla colonna e ritornano nello chauffe-vin dove, per mezzo di una serpentina, si raffreddano e condensano; considerando questo percorso emerge chiaramente che le caratteristiche del vino rivestono una notevole importanza.

Pertanto il distillatore, in presenza di vini provenienti da vitigni diversi, imposterà il lavoro di conseguenza.

I vapori cominciano a uscire dopo circa 6 ore sotto forma liquida e incolore a una temperatura di circa 15 gradi.

La produzione


Denominazioni riconosciute dal Bureau National Interprofessionel de l’Armagnac (B.N.I.A.)

 

3 stelle (***)

Con questa attribuzione si indica l'armagnac che ha l’invecchiamento minimo necessario per la vendita, cioè almeno due anni in botte. Questa sigla ha soprattutto valore storico, poichè l'attuale tendenza è di sostituirla con Very Superior (VS).

Il B.N.I.A. li inquadra fra gli Assemblages.

 

Assemblages

Very Superior (VS)

Very Old (VO)

Very Superior Old Pale (VSOP)

Napoléon (NAP)

Hors d’Age (HA)

Extra

Extra Old (XO)

Réserve (Rés.)

Vieille Réserve (Vieille Rés.)

 

 

Il disciplinare del B.N.I.A. contempla anche la possibilità di mettere in etichetta gli anni di invecchiamento ed i millesimi, cioè l'anno di raccolta.

 

Si consente anche l'assemblage di armagnac di annate diverse dello stesso produttore; il numero rappresentativo degli anni (10, 20, 30 ecc.) testimonia che nell'armagnac è presente un distillato che ha almeno 10, 20, 30 ecc. anni di invecchiamento. Fa quindi testo la presenza dell'armagnac relativamente più giovane.

 

Singularia

Sono sigle e definizioni attualmente non riconosciute dal B.N.I.A., ma citate perché erano consentite/tollerate nei tempi passati. In molti casi si tratta di semplici enfatizzazioni promozionali, per es. VSO, XXO, Grand Fine, 1° Grand Cru, Extra Vieil, Sélection, Vieil, Vieux, Royal ecc.

La cantina


Nei miei primi viaggi degli anni 1970-1980, la cantina era veramente il luogo del colloquio con il produttore; innanzitutto per loro era un motivo di vanto mostrartela e poi non esistevano ancora delle sedi appositamente destinate alla degustazione e alla vendita.

Tutto avveniva nel buio ovattato e complice del sancta sanctorum, fino al momento della compilazione della vignetta che autorizzava il trasporto e l’esportazione, pratica da sempre mal sopportata e che normalmente avveniva in cucina.

La cantina deve essere buia, fresca (la temperatura ideale dovrebbe essere intorno ai 12 gradi), correttamente areata e capace di mantenere un tasso di umidità costante nel tempo e presente dove la sua azione è fondamentale.

Quelle tradizionali sono in terra battuta, spesso seminterrate e fornite di spessi muri a protezione degli sbalzi termici. Questa soluzione consente, ad esempio, l’aspersione di acqua sul pavimento e quindi di variare le condizioni termiche e igrometriche secondo la necessità.

Normalmente all’inizio l’armagnac è stivato nella parte più alta della cantina, a ridosso dei tetti e il gioco degli spostamenti, dall’alto verso il basso, è decisivo.

La temperatura decresce e aumenta l’umidità, per cui l’evaporazione si riduce (l’alcool evapora più in fretta dell’acqua) e il distillato si carica lentamente delle proprietà del legno.

Il tipo di cantina che il visitatore può incontrare è quindi legato soprattutto all’armagnac che si vuole produrre, dal tipo di distillazione usata e può succedere che lo stesso proprietario disponga di entrambe le varianti. In pratica e molto sinteticamente, un conto è produrre armagnac per assemblages e un altro per i millesimi.

A questo livello, però, le vendite riguardano decine di migliaia di bottiglie.

Il contadino ne possiede una sola e generalmente ha una struttura tradizionale.

Per quanto riguarda la temperatura si consideri che in una cantina troppo fredda le reazioni sono rallentate con la conseguenza di tenere troppo a lungo l’armagnac (e gli euro) immobilizzati, mentre in una troppo calda le reazioni accelerate possono originare acquaviti eccessivamente secche e la contemporanea volatilizzazione degli euro.

Cosa che rimanda alla parte che si perde con l’evaporazione (2-3% annuo); è definita “La part des anges”.

Nel periodo che va dai sei mesi ai due anni, s’impiegano fusti nuovi in grado di fornire il tannino per la colorazione e la lignina indispensabile per la parte aromatica poi si impiegano botti vecchie.

Per botti vecchie s’intende ancora pièces da 400 litri che hanno pressoché esaurito il carico di tannino da apportare.

L’ultimo passaggio in legno avviene nelle grandi foudres, in sostanza contenitori inerti.

I vitigni


I vitigni utilizzati per la distillazione producono esclusivamente vini bianchi e si tratta essenzialmente di Ugni Blanc, Colombard, Folle Blanche e Baco 22 A.

In piccola parte sono ancora utilizzati vitigni tradizionali quali Clairette de Gascogne (Blanc Dame), Jurançon blanc, Mauzac blanc e rosè, Meslier Saint-François, e Plant de Graisse.

Il B.N.I.A., in base al decreto 1285 del 28/10/2009, consente solo l’utilizzo di questi vitigni.

In seguito alla comparsa della fillossera furono utilizzati diversi tipi di portainnesti nati dalle famiglie di vite selvatica americana Riparia, Rupestris e Berlandieri, correttamente scelti in base alla loro affinità con il tipo terreno (Henri Faget, documento privato).

Oltre a questi vitigni sono citati Chardonnay, Gros Manseng, Noah e Sauvignon.

Sono emersi da un’analisi storica espunta anche da guide assai datate e sono citati per la consuetudine di distillare molti tipi di vino.

Non erano mai la componente principale del prodotto da distillare e non è testimoniata l’esistenza di armagnac in purezza di alcuno di questi vitigni.

Questa segnalazione, di puro interesse documentario, non significa quindi che i produttori attuino comportamenti che facciano deroga alle attuali normative.

La pratica di immettere sul mercato armagnac proveniente da monovitigno e soprattutto di farne oggetto promozionale, è comunque abbastanza recente.

A questo proposito segnalo la meritoria iniziativa del Dottor Garreau di Labastide che ha approntato una serie di cofanetti didattici con armagnac di diverse colorazioni, età e aromi.

Si rende quindi possibile, restando ferme le condizioni di operare nella filiera del Domaine, scoprire le differenze organolettiche intrinseche ai vari vitigni.

I vantaggi della distillazione da monovitigno sono certo molteplici in termine d’immagine, vi è tuttavia il rischio di mandare in sofferenza gli altri vitigni tradizionali e di ottenere acquaviti dalle caratteristiche sempre più omologate.

Per fortuna alcuni vivaisti li stanno riproducendo e proponendo, per cui qualche produttore è stimolato a reimpiantarli.

In ogni caso, a tutela della loro sopravvivenza, si è mossa la Conservatoria di Mons (Chambre d’Agriculture du Gers), ma è sufficiente rilevare che in tutto il Gers solo 12 ettari sono impiantati a Mauzac, 7 a Meslier Saint-François, 8 a Jurançon per comprendere quanto sia alto il rischio di estinzione.

In aggiunta si consideri che non tutta questa già marginale produzione è totalmente distillata.

I millesimi


I millesimi (le annate) sono da sempre un punto di forza dell’armagnac, ne hanno fatto un elemento distintivo e tuttavia, in assoluto, non potrebbero essere sempre presi come un fattore indicativo della qualità.

È vero che molti produttori si limitano a distillare solo le annate che a loro avviso risultano le più promettenti, ma è altrettanto indiscutibile che alcune Maison abbiano un listino sterminato che va dal 1800 ai giorni nostri.

Tutte annate eccezionali?

Evidentemente no e per scoprire la migliore suggerisco la soluzione più banale: chiedete ai proprietari.

Una persona certamente titolata per formulare un giudizio sul millesimo ideale era Abel Sempé, che sosteneva essere la risultante di frutto, alcool e legno.

Chantal Armagnac asserisce che oltre al clima e al vitigno vadano tenuti in conto il territorio, la qualità della vendemmia e del vino, l’alambicco e la persona addetta alla distillazione, il tipo d’invecchiamento, la qualità delle querce e delle relative doghe e infine il lavoro del maestro di cantina.

Personalmente ritengo che attribuire al clima una particolare influenza sulla qualità del millesimo sia un’operazione corretta ed è uno degli elementi che determina la scelta di molti intenditori.

La mancanza nel listino di alcuni millesimi non ha particolare rilevanza, almeno quando ciò avviene in un lasso di tempo che va indietro di 25-30 anni; si può benissimo verificare che il produttore la reputi un’annata eccezionale e la renda indisponibile per il tempo necessario alla corretta maturazione.

Per inciso, la peculiarità dei millesimi rappresenta in parte anche un limite al consumo di armagnac, perché non è solo il sottoscritto che acquista bottiglie da aprire solo in particolari ricorrenze. Ne consegue che le stesse non sono quasi mai utilizzate per le normali situazioni conviviali.

Si possono trovare anche rari armagnac inquadrabili fra i prodotti commemorativi; in questi casi il millesimo ha un significato del tutto diverso. Può ricordare il centenario della fondazione, un avvenimento particolare nella proprietà o nella regione, il passaggio da un secolo (o da un millennio) al successivo e altre numerose situazioni come la Rivoluzione Francese, la costruzione della torre Eiffel, la caduta del muro di Berlino ecc.

Non si hanno notizie dettagliate sui millesimi del 1700, ma esiste la testimonianza di vendite di armagnac (allora si parlava di acquavite di Guascogna) del 1748, 1775 e 1777 a un prezzo tre volte superiore a quello corrente ed è quindi legittimo pensare che, provenendo dalle stesse zone, si trattasse di grandi annate.

Un caso a parte riguarda l’annata 1893, colpita da molte malattie della vite e tuttavia ricca di produzione e qualità. Si può quindi comprendere come mai questo millesimo sia ancora disponibile presso un buon numero di produttori e negozianti; bisogna comunque considerare che in quegli anni si distillava pressoché tutto il vino prodotto.

Sempre per questo millesimo segnalo che arrivò alla cronaca la notizia che una bottiglia del 1893 aveva superato ogni record di prezzo, ben 5.600 franchi dei primi anni ’80; si trattava di un’asta che il ristorante Maxim’s di Parigi si era aggiudicata per festeggiare l’anno di fondazione.

La stessa annata nel 1984 aveva spuntato 20.000 franchi a un’asta giapponese.

Ho avuto anche una gentile conferma scritta dal produttore, che sostiene di comparire nel Guinnes dei primati; visti i prezzi non ne dubito. Cito il marchio per i curiosi di questi dati e come monito per gli eventuali acquirenti delle altre 400 bottiglie del 1893 che sono state vendute: Jean de Maillac.

Non escludendo che fra i miei lettori sia presente qualche magnate segnalo pure che nel 2007, in un’asta tenuta a Mosca sono stati raggiunti i 16.000 euro per la bottiglia n°1 della collezione “Armagnac d’Exception” della Maison Joy.

Tornando ai millesimi, mi permetto di fornire uno dei pochi consigli che troverete leggendo la mia ricerca: evitate di iniziare la vostra conoscenza con l’armagnac partendo da bottiglie molto datate.

Cominciate con un invecchiamento medio (10/12 anni) e in seguito tornerà più semplice percepire la trasformazione che il prodotto subisce col tempo passato in botte.

Invecchiamento che, per la legge relativa ai millesimi, deve essere di almeno 10 anni.

Altro elemento da valutare nel considerare il valore dei millesimi è che la bottiglia quasi mai riporta l’anno di distillazione; non dice ad esempio quanto tempo il prodotto è rimasto in botte e sappiamo benissimo che dal momento dell’imbottigliamento qualsiasi distillato, nella migliore delle ipotesi, non fa che mantenersi. Per fortuna negli ultimi anni i produttori più accorti cominciano a immettere sul mercato bottiglie che riportano entrambe le date.

La degustazione


La prassi, da più parti sostenuta, è che non si debbano effettuare più di cinque/sei degustazioni per volta.

Un consiglio : non siate frettolosi, anche se avete la sensazione che il produttore sia in evidente attesa del vostro giudizio. Innanzitutto ricordate che queste persone hanno curato il loro armagnac per anni e si attendono un commento adeguato e vi valuteranno per come siete in grado di gestire l’assaggio.

Un altro elemento critico della visita presso un qualsiasi proprietario è rappresentato dalla degustazione di armagnac di età diverse, ad esempio un Tre Stelle con un millesimo.

Prassi sconsigliabile per la non comparabilità del prodotto, ma quando siete al cospetto di un produttore non avete scelta, una degustazione orizzontale non è quasi mai possibile; può avvenire solo quando vi faranno gustare due armagnac della stessa annata, ma frutto di singole “parcelles” o invecchiati in botti diverse.

Suggerisco quindi di affidarvi alla regola di iniziare con l’assaggio dell’armagnac più giovane per poi salire nell’invecchiamento; qualora la degustazione avvenga nella vostra casa, abbiate cura di aprire la bottiglia il giorno precedente per permettere al distillato di acclimatarsi e di respirare.

Il corretto rituale richiede di valutare l’armagnac con l’occhio, il naso e il gusto, in questa esatta sequenza.

Suggerisco di utilizzare bicchieri grandi (42 cl) per l’armagnac più invecchiato; permettono un maggior contatto con l’aria e avere quindi l’ottimale emanazione degli aromi. Per le acquaviti più giovani è più indicato il calice a tulipano dotato di un’apertura tale da permettere al naso di apprezzare gli aromi.

Molto sinteticamente ci si ricordi che il colore aumenta in intensità con l’invecchiamento e si va dal giallo paglierino all’arancio, al color oro fino ai riflessi ambrati e rubino; soprattutto non deve mai presentare un aspetto torbido (louche o trouble) o sfumature verdastre.

Si osservi poi la viscosità/pastosità (le gras) del distillato valutando, dopo la rotazione del calice, se l’armagnac produce le auspicabili lacrime (larmes); quanto più le gocce, espressione del glicerolo, aderiscono alla parete del calice e quindi “piangono bene” tanto più sono indice di qualità.

Quanto al profumo, bisogna valutarne sia l’intensità che la qualità e per apprezzarlo è necessario che l’armagnac sia lievemente riscaldato dalla mano; i richiami ai frutti, ai fiori, alle erbe, al legno, alle spezie sono consentiti, ma non bisogna eccedere nella fantasia perché in Guascogna non amano stravolgimenti.

I più frequentemente riscontrabili sono arancia, prugna, cotogna, mela, pera, albicocca, mandorla, nocciola, rosa, violetta, fiori di tiglio, giacinto, caprifoglio, gelsomino, felce, menta, cedro, quercia, caffè, eucalipto, tabacco, sandalo, cuoio, cannella, vaniglia, cacao, noce moscata e pepe.

Esiste comunque una stretta correlazione fra la comparsa degli aromi e il tempo d’invecchiamento che consente al neofita di non fare una figuraccia quando è coinvolto in una degustazione.

Prima compaiono le note fruttate, poi quelle floreali, poi quelle legnoso-balsamiche e in ultimo le speziate.

Infine il gusto con le 4 percezioni: dolce, salato, acido e amaro; si valuti anche la loro persistenza (longueur).

Si possono avere anche altre sensazioni gustative, ma sono il frutto di mescolanza di gusto e di odorato e vanno anch’esse distinte in base all’intensità ed alla qualità. In quest’ambito si valuta soprattutto l’effetto del tempo dedicato al soggiorno in botte e quindi si parla di armagnac boisé; quando è poco boisé, si può definire aspro (apre) se il palato lo percepisce con le caratteristiche di frutto acerbo oppure amaro (amer) se è troppo carico di tannino, generalmente a causa di un’imperfetta essicazione delle doghe.

Fra gli elementi negativi che possono essere presenti, segnalo il sentore metallico, tipicamente di rame (cuivre), che denota una distillazione non perfetta.

Per chi ama la perfezione ricordo quanto sia apprezzato, nel consesso dei raffinati degustatori di armagnac, conservare il bicchiere vuoto dopo averlo coperto con la carta, lasciarlo riposare qualche ora, scaldarlo nuovamente con la mano e scoprire il “fond de verre”.

Chiarisco che per verificare questo tipo di esperienza non si deve utilizzare un Tre Stelle e che non intendo vellicare gli esibizionisti: basta provare e si resterà stupiti da quanto il “vuoto” sia pieno di sensazioni.

Considerando l’eventualità che fra i miei lettori ce ne sia qualcuno particolarmente competitivo, evidenzio che per una gara di degustazione fra amici è opportuno “avvinare” con armagnac giovane tutti i bicchieri.

Comunque non bisogna perdersi d’animo; considerate che in un litro di armagnac ciò che, con amabile eufemismo, è definito “non alcool” è rappresentato da solo 4-5 grammi di quelle sostanze che conferiscono a ogni distillato le peculiarità che lo rendono unico.

Ammiratene il colore, valutate l’aroma, gustatelo per bene, possibilmente dopo un’ottima cena, nel posto e nel momento giusto e in buona compagnia.

Impegnatevi direttamente in una valutazione e se non vi convince, buttate la bottiglia.

Non è “vero” armagnac.