Il territorio
Come tutti i prodotti agricoli anche l’armagnac è fortemente connotato dalle peculiarità del territorio di origine.
Attualmente l’Armagnac geografico è situato approssimativamente nel cuore del triangolo aquitanico formato da Tolosa, Bordeaux e Bayonne. Ha una superficie di circa 6200 km2 e un’altitudine assai modesta: va dai 380 m di Monlaur-Bernet ai 90 m di Barcelonne-du-Gers sui bordi dell’Adour e ai 66 m di Condom nella valle della Baïse.
La zona di produzione appartiene a tre Dipartimenti: quasi tutto il Gers, una parte delle Landes e una parte del Lot-et-Garonne.
In totale si tratta di 15000 ettari impiantati a vigneto distribuiti in tre zone di produzione: 8000 nel Bas-Armagnac, 6500 nella Ténarèze e 500 nell’Haut-Armagnac.
L’Haut-Armagnac (a sud e a est) rappresenta la parte più estesa del territorio; il terreno è calcareo e argilloso-calcareo, in qualche caso ricoperto di ciottoli e limo e si presta alla coltivazione della vigna e a quella dei cereali. Le città più importanti Mirande, Auch e Lectoure sono attraversate dal fiume Gers.
La Ténarèze, al cui centro si trovano Condom e Vic-Fezensac, si colloca fra Haut e Bas-Armagnac.
Vede la presenza sia di terreno calcareo che argilloso, con qualche traccia di sabbie bruno-chiare; cominciano a comparire ampie estensioni di boschi di quercia.
Il Bas-Armagnac (a ovest) è un territorio con ridotti rilievi collinari, il terreno è argilloso-siliceo, spesso acido, sabbioso e con scarsa presenza calcarea.
I centri più importanti sono Aire-sur-Adour, Eauze, Nogaro.
Qui dominano le sabbie fauves (bruno-chiare originate dai residui di un’ostrica e colorate dagli ossidi di ferro, risalenti al Medio Miocene) che rendono soffice e di facile lavorazione il terreno; sulle alture dominano le foreste, mentre a mezza costa regna la vigna.
La parte del Bas-Armagnac delle Landes è spesso pianeggiante con grandi estensioni di pinete.
Diffusa in tutte le tre zone è la presenza di un terreno definito boulbène, formato da un miscuglio di argilla e silice, a granuli finissimi. Ѐ permeabile all’acqua con la quale forma una poltiglia lattiginosa e soprattutto è importante per la difesa del terreno perché forma una spessa crosta che protegge dalle gelate.
Per gli appassionati di armagnac che, viaggiando per quelle zone, sentissero i contadini parlare di terrebouc segnalo che si tratta pur sempre di terreno boulbène adatto all’impiantamento della vite; con caratteristiche che, variando nelle componenti silicee e calcaree, lo rendono abbastanza fresco e dotato di attività filtrante.
Come regola generale si consideri che la componente argillo-calcarea (terrefort) si trova più facilmente a mezza costa, mentre il terreno boulbène domina nelle vallate.
Altra variabile di terreno è il peyrusquet: in questo caso troviamo una fascia argillo-calcarea poco profonda che appoggia direttamente sulla roccia madre calcarea.
Ѐ la situazione tipica di buona parte del territorio di Lectoure.
Vigna e vinificazione
La presenza della vite allo stato selvatico (vitis labrusca) risalente alla preistoria è documentata dal ritrovamento in alcune torbiere ed è legittimo pensare che a quei giorni fosse utilizzata solo a scopo alimentare.
La più antica testimonianza in Guascogna di attività vitivinicola risale al I secolo dell’era moderna: si tratta di un’urna funeraria scoperta a Lectoure contenente sarmenti di vite.
Sono presenti anche testimonianze di vitis biturica e di vitis basilica (forse proveniente dall’Epiro).
La scoperta più recente (2000) riguarda la villa gallo-romana di Lestagnac, nei pressi di Saint-Mèzard; è stata riportata alla luce una cantina attiva dal I al V secolo D.C. completa delle attrezzature per vinificare e conservare il vino.
Compaiono in seguito documenti (il primo è del 1396) che fanno soprattutto riferimento alle tasse; particolarmente significative quelle imposte alla popolazione di Sainte-Christie-d’Arm.: su un totale di 94 proprietari ben 73 possedevano 127 vigne.
Nello stesso documento si trovano già precise indicazioni sul tipo di conduzione della vigna.
Si trattava di vigne inframmezzate da alberi da frutta e qualcuno ipotizza l’influenza romana su questo tipo di coltura; fu gradualmente abbandonata in Guascogna nella seconda metà del 1800.
La vigna è attualmente condotta a portamento alto per evitare che le gelate primaverili la danneggino e allo stesso tempo per tenere i pampini lontani il più possibile dall’umidità del terreno; è una scelta dettata anche dalla necessità di favorire la presenza di acidità nelle uve.
Il disciplinare che regola la produzione di uve adatte alla distillazione prevede la presenza minima di 3000 piedi per ettaro, con un rendimento massimo di 160 hl di vino e di 12 hl di acquavite per ettaro.
Fino all’avvento della meccanizzazione delle macchine agricole, i filari distavano 180/200 cm. (ora si avvicina ai tre metri) e le viti erano poste a dimora alla distanza di un metro (ora siamo intorno ai 160 cm.).
L’obiettivo dei contadini di un tempo era duplice: rendere il terreno più soffice ed eliminare le piante infestanti; erano necessari anche 10-12 passaggi di aratro nella stagione contro i 2-3 attuali.
La legge consente solo tre tipi di potatura: le due versioni della “Guyot” e la “cordon”.
Anche i lavori primaverili di rincalzatura sono stati abbandonati a favore del diserbo che spesso avviene a filari alterni. Poi si passa, nei mesi di maggio e giugno, alla spampanatura per ripulire il tronco da tutti i polloni in eccesso e al fissaggio delle fronde ai fili.
I trattamenti classici, come la ramatura, erano effettuati anche 17-18 volte se la stagione era notevolmente piovosa e ancora oggi, nonostante la presenza di stazioni di rilevamento sullo sviluppo dei parassiti, possono essere una decina
Le prime uve a maturare sono folle blanche e colombard, seguono baco e ugni blanc.
La vendemmia si effettua sia manualmente che in modo meccanico.
Il primo sistema consente di evitare al massimo i traumatismi dei grappoli mentre il secondo è effettuato normalmente di notte e di primo mattino e permette la raccolta di uve più fresche che portano maggiore limpidezza.
Il vino presenta comunque segni di torpidità perché non tutta la feccia é tolta, allo scopo di arricchirlo con gli aromi che essa contiene. Si elimina invece la parte più melmosa per evitare che il distillato presenti dei sentori erbacei sgradevoli.
Il tipo di vendemmia è quindi anche secondario alle dimensioni del vigneto, alla sua struttura, al tipo di vitigni presenti e alla disponibilità di personale stagionale o di amici e parenti.
Restano determinanti la pulizia della cantina, di tutte le attrezzature e una distillazione il più possibile ravvicinata alla vendemmia, per cui pigiatura, sgocciolatura e torchiatura devono essere svolti nel tempo più breve per evitare ogni contaminazione e ossidazione.
Le fermentazioni, malolattica e alcolica, intervengono nel tardo autunno e in inverno per opera dei lieviti che trasformano naturalmente la componente zuccherina in alcool; è soprattutto a carico della prima che si deve porre attenzione all’aumento di temperatura per eccesso di fermentazione.
Anche in questa fase non si aggiunge alcun prodotto chimico.
L'invecchiamento
Parlare d’invecchiamento comporta l’analisi di tre parametri fondamentali: tempo, contenitore e luogo di stivaggio.
Per quanto concerne il primo, utilizzo il testo del Signor Gilbert Sourbadère.
Si possono distinguere quattro fasi dell’invecchiamento:
1) “l’adolescenza”, fino ai 3 anni,
2) “l’età adulta”, da 3 a 10 anni,
3) “la forza degli anni”, da 10 a 40 anni,
4) “il momento del declino”, oltre i 40 anni.
Ovviamente si parla sempre di anni passati in legno.
Nel corso di questo periodo avvengono diversi mutamenti, tre dei quali rivestono particolare importanza:
1) l’ossidazione dell’armagnac,
2) l’evaporazione di una parte di acquavite (dal 2 al 4% l’anno secondo il tipo di cantina),
3) la riduzione del grado alcolico (dall’1 all’1,5 l’anno).
I due ultimi dati sono apparentemente contraddittori, ma bisogna considerare che si tratta di una miscela idroalcolica, per cui vi sono perdite differenti secondo la frazione coinvolta.
Il legno governa quindi gli scambi gassosi e trasmette al distillato quelle componenti che lentamente lo trasformeranno in qualcosa di totalmente diverso, lasciando quindi al proprietario la scelta di interrompere o protrarre l’invecchiamento.
Merita almeno un cenno il fenomeno dell’ossidazione.
Bisogna considerare che gli scambi fra il legno e l’acquavite decrescono gradualmente verso l’esterno della botte, parallelamente con la riduzione del gradiente alcolico; allo stesso tempo aumenta l’attività enzimatica, anch’essa sostenuta dal fungo Torula, con la produzione di perossidasi.
Si tratta di un sottile gioco di equilibrio che i sostenitori della cantina tradizionale reputano determinante per raggiungere la corretta estrazione delle proprietà del legno.
Ricordiamo inoltre che la lunga stagionatura naturale del legno ha già prodotto fenomeni di ossidazione e idrolisi tali da non trasmettere quelle componenti della lignina che sarebbero nocive alla qualità del distillato. A questo punto devo necessariamente ritornare al metodo di distillazione perché la gradazione ottenuta impone comportamenti diversi in sede d’invecchiamento.
Sappiamo che le gradazioni alcoliche ottenute variano secondo l’alambicco utilizzato e che alcuni produttori per ottenere armagnac dotati di certe caratteristiche impiegano l’alambicco a repasse.
Per chi fa questa scelta e, ad esempio, intende porre sul mercato un distillato giovane e poco “boisè”, cioè poco connotato dalle proprietà del legno, non esiste altra possibilità che eseguire una riduzione alcolica artificiale.
Si ottiene con l’aggiunta di acqua distillata (imposto dalla necessità di evitare la presenza del calcio che provocherebbe la precipitazione dell’armagnac) o delle “petites eaux”, ossia una miscela di acqua distillata e armagnac, con una gradazione di circa 20°; in alcuni casi l’operazione è effettuata contemporaneamente alla distillazione.
Esiste tutta una mitologia guascona su queste “piccole acque” e non vi è nulla di più defatigante e inutile che addentrarsi in questa polemica; i favorevoli a questa pratica sono altrettanto accaniti degli oppositori e, in ogni caso, non svelerebbero mai come sono strutturate queste miscele.
La ricerca ha comunque confermato questo dato: gli armagnac a più basso tenore alcolico invecchiano più rapidamente.
Ritengo che il comportamento debba essere ben diverso per l’armagnac destinato a un lungo invecchiamento; per un distillato che passa 15, 20 o più anni in botte si deve solo contare sulla naturale perdita di gradazione.
Qui, però, entriamo nel campo degli armagnac definiti “venerabili”.
La verifica della corretta attribuzione dell’età del distillato avviene impiegando un cromatografo in fase gassosa. Assolutamente attendibile quando si parla di un armagnac che non supera i 20 anni; poi, a giudizio pressoché unanime, l’attribuzione dell’età diventa più problematica.