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La degustazione


La prassi, da più parti sostenuta, è che non si debbano effettuare più di cinque/sei degustazioni per volta.

Un consiglio desidero offrire al lettore: non siate frettolosi, neanche se avete la sensazione che il produttore sia in evidente attesa del vostro giudizio.

Innanzitutto ricordate che queste persone hanno curato il loro armagnac per anni e si attendono un commento adeguato, per cui vi valuteranno immediatamente per come siete in grado di gestire l’assaggio.

Un altro elemento critico della visita presso un qualsiasi proprietario è rappresentato dalla degustazione di armagnac di età diverse, ad esempio un Tre Stelle con un millesimo.

Cousteaux e Casamayor (1985, 121) sconsigliano questa prassi per la non comparabilità del prodotto, ma quando siete al cospetto di un produttore non avete altra scelta, una degustazione orizzontale non è quasi mai possibile.

Può avvenire quando, dopo avervi apprezzato come un cliente appassionato e competente, loro stessi vi faranno gustare, ad esempio, due armagnac della stessa annata, ma frutto di singole “parcelles” o invecchiati in botti diverse.

Suggerisco quindi di affidarvi alla regola di iniziare con l’assaggio dell’armagnac più giovane per poi salire nell’invecchiamento; qualora la degustazione avvenga nella vostra casa, abbiate cura di aprire la bottiglia il giorno precedente per permettere al distillato di acclimatarsi e di respirare.

Le regole del corretto rituale richiedono di valutare l’armagnac con l’occhio, il naso e il gusto, in questa esatta sequenza e utilizzando un calice panciuto e a gambo corto oppure a forma di tulipano con il collo lievemente rastremato.

Frédéric Lebel asserisce di utilizzare bicchieri grandi (42 cl) per l’armagnac più invecchiato al fine di permettere un maggior contatto con l’aria e avere quindi l’ottimale emanazione degli aromi; il tutto a temperatura ambiente.

Per le acquaviti più giovani è più indicato il calice a tulipano dotato di un’apertura tale da permettere al naso di apprezzare gli aromi.

Consentitemi anche una precisazione concernente il lavaggio dei bicchieri: sono da evitare i detersivi e tutti quei detergenti (aromatizzati o meno), che tendono a donare brillantezza al cristallo.

Sovente il risciacquo non ne elimina le tracce, per cui é preferibile lavarli in acqua calda e farli asciugare all’aria tenendoli lontani da ogni fonte di odore.

Questa apparentemente esagerata attenzione è determinante: effettuare un assaggio senza avere la certezza di aver eliminato ogni tipo di “inquinante” crea difficoltà, specie nei momenti topici della degustazione.

Molto sinteticamente ci si ricordi che il colore aumenta in intensità con l’invecchiamento e si va dal giallo paglierino all’arancio, al color oro fino ai riflessi ambrati e rubino; soprattutto non deve mai presentare un aspetto torbido (louche o trouble) o sfumature verdastre.

Si osservi poi la viscosità/pastosità (le gras) del distillato valutando, dopo la rotazione del calice, se l’armagnac produce le auspicabili lacrime; quanto più le gocce, espressione del glicerolo, aderiscono alla parete del calice e quindi “piangono bene” tanto più sono indice di qualità.

Ritengo questa evidenza assai predittiva della qualità, ma riconosco che il mio parere non è unanimemente condiviso.

Quanto al profumo, bisogna valutarne sia l’intensità che la qualità e per apprezzarlo è necessario che l’armagnac sia lievemente riscaldato dalla mano; i richiami ai frutti, ai fiori, alle erbe, al legno, alle spezie sono consentiti, ma non bisogna eccedere nella fantasia perché in Guascogna non amano stravolgimenti personali.

I più frequentemente riscontrabili sono arancia, prugna, cotogna, mela, pera, albicocca, mandorla, nocciola, rosa, violetta, fiori di tiglio, giacinto, caprifoglio, gelsomino, felce, menta, cedro, quercia, caffè, eucalipto, tabacco, sandalo, cuoio, cannella, vaniglia, cacao, noce moscata e pepe.

Esiste comunque una stretta correlazione fra la comparsa degli aromi e il tempo d’invecchiamento che consente al neofita di non fare una figuraccia quando è coinvolto in una degustazione.

Per prime compaiono le note fruttate, poi quelle floreali seguite dalle legnoso-balsamiche e infine dalle speziate.

Quindi se ci si trova di fronte ad un armagnac dalle sfumature giallo chiaro, quindi relativamente giovane, conviene evitare di citare il tabacco o la cannella.

Infine, il gusto con le sue quattro percezioni: dolce, salato, acido e amaro; si valuti anche la loro persistenza (longueur).

Si possono avere anche altre sensazioni gustative, ma sono il frutto di mescolanza di gusto e di odorato e vanno anch’esse distinte in conformità all’intensità ed alla qualità.

In quest’ambito si valuta soprattutto l’effetto del tempo dedicato al soggiorno in botte e quindi si parla di armagnac boisé; quando è poco boisé, si può definire aspro (apre) se il palato lo percepisce con le caratteristiche di frutto acerbo oppure amaro (amer) se è troppo carico di tannino, generalmente a causa di un’imperfetta essicazione delle doghe.

Fra gli elementi negativi che possono essere presenti, segnalo il sentore metallico, tipicamente di rame (cuivre), che denota una distillazione non perfetta.

Per i lettori più sensibili alla logica stringente della matematica segnalo una scheda di valutazione presente nel libro di Abel Sempé, redatta nel 1988 da un team di professionisti, di appassionati cultori e dall’autore stesso alla ricerca dell’armagnac sublime.

Se vi brucia la curiosità basta acquistare “La Grande Messe de l’Armagnac” oppure rivolgetevi al B.N.I.A. di Eauze, sono gentilissimi e attrezzati con le schede che usano normalmente per le valutazioni di qualità e conformità.

Per chi ama la perfezione ricordo quanto sia apprezzato, nel consesso dei raffinati degustatori di armagnac, conservare il bicchiere vuoto dopo averlo coperto con la carta, lasciarlo riposare qualche ora, scaldarlo nuovamente con la mano e scoprire il “fond de verre”.

Nelle mie protratte letture ho scoperto che esiste anche chi sostiene di poterlo sentire dopo una settimana; non ho certo l’autorità di Henri Dufor e André Daguin (1989, 72), mi associo comunque alla loro perplessità.

Chiarisco che per verificare questo tipo di esperienza non si deve prendere in considerazione un Tre Stelle e che neppure intendo vellicare gli esibizionisti: basterà provare e si resterà stupiti da quanto il vuoto sia pieno di sensazioni.

Considerando l’eventualità che fra i miei lettori ce ne sia qualcuno particolarmente competitivo, evidenzio che per una gara di degustazione fra amici è opportuno “avvinare” con armagnac giovane tutti i bicchieri dei partecipanti all’agape festosa.

Comunque non bisogna perdersi d’animo; considerate che in un litro di armagnac ciò che, con amabile eufemismo, è definito “non alcool” è rappresentato da solo 4-5 grammi di quelle sostanze che conferiscono a ogni distillato le peculiarità che lo rendono unico.

I fratelli Samalens (1975, 99) sostenevano che il whisky ne contiene 1,5 grammi e la vodka solo un grammo.

Quindi ammirate il colore, valutatene l’aroma, gustatelo per bene, possibilmente dopo un’ottima cena, nel posto e nel momento giusto e in buona compagnia.

 

P.S.

Definire profumato l’armagnac che si degusta non è consigliabile perché sottintende un eccesso odoroso; siamo ancora nell’ambito delle percezioni nasali.

Non si parla di profumo, ma di bouquet quando si fa cenno agli aromi legati alle percezioni retronasali; se il bouquet è molto accentuato si può definire potente (puissant).

Restando in quest’ambito è segno di apprezzata attenzione utilizzare in modo alterno entrambe le narici, inserendole bene nel calice.

Una degustazione esemplare implica che l’armagnac sia masticato.

Quando manca la capacità di valutare con competenza conviene correttamente limitarsi ad affermazioni generiche; definire un armagnac equilibrato (l’insieme delle varie sensazioni) non può che gratificare il produttore.

Prima di definire il distillato con il termine moelleux, che in Guascogna è assai usato per esprimere dolcezza, morbidezza e soavità, conviene riflettere.

Si può fare la figura, quando il giudizio non è appropriato, degli spacconi ruffianeggianti o degli sprovveduti e loro, che sanno perfettamente cosa producono, non te lo perdonano.

 

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