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Il tonnelier


L’impiego della botte nello stivaggio del vino e in seguito dell’acquavite avvenne per opera delle popolazioni celtico-galliche; fino all’inizio del 5° secolo si usavano le anfore e i dolia in terracotta.

Esaurita la premessa storica, per avere un’esatta percezione di quanto sia cambiata la realtà della Guascogna a proposito della professione di bottaio, credo siano sufficienti questi dati: il primo segnala 7 operatori in questo settore nel 2006, il secondo parla di 3 tonneliers presenti al 30 luglio 2009, il terzo certifica una trentina di questi professionisti alla fine della seconda guerra mondiale e il quarto che segnala l’esistenza di 155 persone dedite a quest’attività nel 1804 nel solo dipartimento del Gers.

Balza evidente che questo lavoro purtroppo non ha un gran richiamo presso i giovani.

Per la costruzione ci si approvvigiona sia nelle foreste di Monlezun e di Tronçais che in quelle del Limousin, dell’Allier, dei Vosgi e della Corrèze; ovviamente i puristi dell’armagnac preferiscono le piante locali.

Consta di 5 varietà: la peduncolata, la sessile, la tauzin, la pubescens e la liège (quella da sughero).

Per legge e tradizione solo le varietà peduncolata e sessile sono consentite per la costruzione delle botti e l’albero deve avere almeno 100 anni di vita e 2 metri di circonferenza.

Ci sono due momenti di accrescimento nell’albero: quello primaverile e quello estivo; il rapporto fra queste fasi determina la diversa porosità del legno, ossia la “grana”.

Dalla porosità derivano gli scambi gassosi e la permeabilità dei fluidi, quindi si potrà scegliere il tipo di quercia da utilizzare secondo l’invecchiamento previsto; la grana è influenzata dalla presenza di acqua.

Il momento giusto per l’abbattimento è ad agosto quando la linfa ha bassissima attività; i puristi più incalliti sostengono che il momento ideale sia la fase di luna calante. La sega è utilizzata solo per abbattere l’albero.

Della quercia si utilizza solo la parte emergente per un metro da terra, perfettamente dritta, senza torsioni del fusto e priva di nodi; si tagliano i fusti in cilindri (billon) lunghi di più di un metro e da quel momento inizia il lavoro del tagliatore di doghe. La parte utilizzata è quella centrale composta di legno morto; quella esterna è scartata poiché, essendo la zona di crescita dell’albero, è giovane e inadatta allo scopo.

Quest’operazione ha come conseguenza che vi è un margine di scarto che va dal 40% in una quercia dalla forma ideale fino all’80% di un albero utilizzabile ma non perfetto.

Con l’impiego di pochi strumenti creati per le bisogna e in uso da secoli senza sostanziali cambiamenti, il tronco è aperto e ridotto a doghe dello spessore di 4,5 cm.; il lavoro deve essere necessariamente fatto a mano, perché solo l’occhio e l’esperienza del tagliatore sono in grado di valutare la zona più adatta per ottenere doghe poi perfettamente combacianti e non sfibrate da un taglio meccanico.

Le doghe sono essiccate all’aria aperta per 3/4 anni; l’esposizione al sole, al vento e alla pioggia (lessivage) permette di eliminare le tossine e porta il legno da una percentuale dell’80% di umidità al 20%. Non si tratta soltanto di purificare il legno; senza questa stagionatura si otterrebbe un’acquavite secca, carica di sentori vegetali. È a questo punto che si reputa pronto per l’uso e la vera costruzione della botte ha inizio.

Si pareggia la lunghezza delle doghe, si svuota parzialmente l’interno per piegarle, si appuntiscono agli estremi per dare la forma panciuta, si congiungono dopo averle lisciate per avere una tenuta stagna e si comincia a montarle disponendole in piedi all’interno di un modello di ferro che fornisce un abbozzo della struttura della botte.

All’interno si pone un braciere alimentato con scarti di lavorazione e il calore rende le doghe pieghevoli; è un momento importante: il legno deve scaldarsi senza bruciare per cui è continuamente asperso di acqua.

Il momento della tostatura del legno è anche decisivo per conferire alla botte le caratteristiche aromatiche.

Intanto l’altra estremità del fusto è circondata da un cavo posto in trazione da un argano che, poco per volta, contribuisce a dare la forma definitiva; s’inseriscono come modelli dei cerchi metallici scaldati in precedenza e si aggiungono i fondi.

La costruzione del fondo deve essere eseguita con l’aiuto del compasso, non vi è che una minima tolleranza (meno di 1 mm); fra le doghe che lo costituiscono un tempo erano sovente inserite foglie secche di giunco per renderlo perfettamente stagno.

Infine si sostituiscono i modelli con cerchi metallici definitivi e la botte a questo punto è collaudata con acqua bollente per verificarne la tenuta.

Il prezzo di ogni botte si aggira sui 700 Euro, dei quali più della metà sono legati al costo del legname.

Esiste anche un’altra tipologia di contenitore, la “foudre”; si tratta di botti gigantesche, con una capacità che può giungere a 350 hl e capita di vederle solo nelle grandi cantine delle Maisons più importanti.

Si tratta di semplici contenitori di stivaggio e lo si nota dall’aspetto sempre nuovo che hanno; ben diverso dalle botti da invecchiamento che manifestano le tracce evidenti dell’azione del prezioso fungo Torula.

P.S.

Allego l’immagine del gentilissimo Signor Gilles Bartholomo di Le Frêche che si prestato a documentare tutte le fasi della costruzione e quella del Signor J.G. de Latour che me lo aveva segnalato.

Il tonnelier
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