Benedetti Benedettini
La presenza degli stagni in Guascogna vi accompagna continuamente, se ne trovano ovunque.
Nel convegno tenuto a Perchède nel luglio del 2011 si fa menzione a un numero sbalorditivo: 850.
Hanno dimensioni assai variabili, da poche are fino a un massimo di sedici ettari. L’utilizzo è ormai solo prettamente agricolo, ma nei tempi più remoti se ne faceva uso anche per la piscicoltura; quelli presenti sono generalmente di origine ottocentesca, anche se l’introduzione degli stagni risale ai tempi medievali e furono i monaci cistercensi gli autori di questa innovazione.
Singolare è anche il percorso storico che contribuì all’affermazione degli stagni.
I monaci, strettamente osservanti della regola di San Benedetto, cercavano aree abbandonate o insalubri per desiderio di ascesi e purificazione e i nobili del luogo acquisivano facili meriti agli occhi della Chiesa donando terreni improduttivi o malsani come le paludi.
Veri maestri nella gestione dell’acqua (lo stesso nome cistercense prende origine dal loro primo insediamento in una palude nei pressi di Digione), trasformavano la palude in stagno riducendone le dimensioni con la bonifica delle sponde e apportando acqua corrente catturata, anche a chilometri di distanza, dai piccoli ruscelli presenti nella zona.
In poco tempo l’ambiente era risanato, comparivano nuovi terreni agricoli fertilissimi e stagni dotati di acqua che era ricambiata stagionalmente attraverso la creazione di sbarramenti; il tutto per ridurre il rischio della siccità.
Si otteneva acqua per abbeverare gli animali, per uso irriguo e per allevare carpe, tinche, lucci, persici e anguille.
Il pesce ricorre spesso nella simbologia cristiana e la piscicoltura era un ottimo integratore delle scarse risorse proteiche del tempo; non si trattava solo di opere di carità, il pesce veniva anche venduto con rendite consistenti per abazie e castelli.
Si utilizzavano anche i giunchi per impagliare le seggiole e, a scopo alimentare, la farina delle castagne d’acqua (Trapa natans) e i mitili d’acqua dolce, gli anodonti, contemporaneamente assai utili per depurare le acque.
La gestione degli stagni metteva in atto anche una politica assolutamente ecologica: ogni tre anni erano prosciugati per mantenere la salubrità del luogo e in quella circostanza il terreno era sfruttato per un anno a uso agricolo.
Questa condizione limitò la possibilità d’installare dei mulini; la loro attività era condizionata dai momenti dedicati alla pesca e troppo dipendente dalla presenza discontinua di acqua corrente.
La situazione si protrasse fino alla Rivoluzione; poi con la motivazione di eliminare le zone insalubri, ma in realtà per contenere le rendite del clero e della nobiltà, gli stagni furono trasformati in terreni agricoli.
La situazione creatasi non resse a lungo; la siccità del 1822, 1832, 1834 ripropose il problema dell’acqua e gli stagni ripresero il loro spazio.
Così come la pesca, che fino al 1950 era consentita a tutti gli abitanti, limitatamente alla settimana di Quaresima.
Una sola nota dolente: lo sterminio delle lontre che ancora nel 1920 popolavano gli stagni.
Non si trattava più di cacciarle per la pelliccia, erano serie concorrenti dei pescatori.
L’utilizzo degli stagni cambia notevolmente nell’ultimo dopoguerra, lo scopo primario diventa quello della riserva d’acqua per l’irrigazione ma ci sono anche esempi di utilizzo diverso come la pesca facilitata, il ripopolamento ittico nello stagno di La Hitère o l’acquacultura (storioni) in quello di Pouy.
Merita una citazione e una visita lo stagno di Escoubillon a Bourrouillan.
I coniugi Faget, instancabili appassionati della natura, dopo averlo acquistato verso il 1990, hanno riportato lo stagno alle probabili condizioni originarie, come doveva apparire nel XVI secolo.
Ora riassume perfettamente la filosofia di questi signori: conservazione e preservazione della natura, ambiente idoneo al ripopolamento di uccelli acquatici ed ecoturismo.