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Lingua comune


Arrivo al Domaine de l’Hérété di Bourrouillan dopo essermi perso per l’ennesima volta e aver atteso a lungo che un capriolo si tolga dalla strada; per qualche istante resto ad ammirarlo, poi suono il clacson.

Nulla da fare, non si muove; la povera bestia deve avere una gamba contusa, poi finalmente in qualche modo raggiunge un campo di granoturco.

Il Signor Jean Sempé mi accoglie con gentilezza e stupore, mentre la moglie non tradisce una certa irritazione per averle interrotto la visione di un programma tv cui evidentemente teneva.

Il fatto non turba più di tanto il mio interlocutore che come tutti gli anziani (nato nel 1924) non vede l’ora di parlare del tempo passato.

Cosa che sto facendo anch’io con una parte del mio libro.

Chiedo conferma dei miei dati e senza nessuno sforzo apparente li ricorda e me li approva; manifesta soltanto una certa irritazione quando, per eccesso di pignolesca verifica, gli chiedo se distillasse secondo il metodo tradizionale.

“Mais bien sûr!”, risponde e certo l’ho deluso, come se gli avessi chiesto se sapesse potare le viti in modo corretto.

C’è tanto rimpianto in questo signore per aver dovuto abbandonare la produzione in proprio e fatica a rassegnarsi a che il figlio conferisca il tutto alla cantina sociale, ma si è ormai adeguato (rassegnato) e nel congedarmi mi confessa che pur essendo notevolmente sordo, il mio modo di parlare gli consente di comprendere anche senza la protesi auricolare.

Si riesce a trovare del buono anche nella mia scarsa dimestichezza col francese.

Proverò a parlare in questa lingua anche con mia madre che ha lo stesso problema; in fondo il dialetto alessandrino non è poi così dissimile e la “r” arrotata è una caratteristica comune.

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